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Metafile di: Il carnevale di Venezia
data 2002-05-08
autore Gianfranco Novo
titolo Il carnevale di Venezia
genere Emozioni
contatore 997
Il carnevale di Venezia
Ogni volta parto riluttante: solo per accompagnare mia moglie.

La stazione di Venezia è piena di gente rumorosa, eccitata. Non riesco a partecipare alla comune allegria: sarà una giornata noiosa.

Poi, come ogni volta, la magia comincia.

Accade in vaporetto: una ragazza guarda pensierosa l'acqua, sul viso si è dipinta un arabesco colorato.
Al carnevale molte ragazze lo fanno, ma questa ha qualcosa di particolare, forse è solo l'espressione triste, accentuata e resa misteriosa dai segni dipinti sul viso.

Mi guarda distrattamente è rapisce il mio pensiero: sta guardando un giovane che si accompagna ad una ragazza bionda, vistosa, i due ridono felici, le passano vicino, lui la saluta e se ne va. Lei li guarda allontanarsi mentre l'arabesco diventa un velo che nasconde l'espressione del viso.

C'è una lacrima?

Il clacson del vaporetto mi distrae, un gruppo di ragazzi a riva scherzano sguaiatamente. Il vaporetto ferma a Rialto, si deve proseguire a piedi.
Le calli sono sempre piene di gente in questa occasione, se prendi la corrente giusta, un fiume di persone ti conduce a S. Marco.

Puoi guardare quelli che ti vengono incontro senza preoccuparti di scegliere la strada. La spasmodica e improvvisata ricerca di originalità li rende tutti uguali: vedo soltanto volti dipinti, parrucche colorate, cappelli da jolly.
Una coppia di mezza età, l'accento straniero, forse inglese, emerge dal resto della folla: sono stupiti, rapiti, estasiati, mi passano vicino, il contatto è quasi fisico, il profumo di lei, sottile, esotico, mi porta in terra inglese, quali meraviglie verranno raccontate, ai nipoti, davanti al caminetto!

Ma anche questo è solo un clichè, il profumo è sparito e torno a vedere soltanto maschere posticce, vestiti improvvisati, mantelli sgargianti.

Ora sono in piazza, un gruppo di persone, disposte in cerchio, ammira una piccola statua di marmo. No, è un uomo! Per parecchi secondi sono rimasto ingannato, poi un rapido battito degli occhi lo ha tradito.

“ Nel buio della notte un lampo improvviso illumina il mondo: un grande spettacolo annullato da un battito d'occhi. ”

Appoggiato al piedistallo un cartello in italiano stentato (Foto no gratis) mi porta alla realtà: un uomo non più giovane, piccolo di statura, quasi un nano, ma di proporzioni perfette ha trovato questo strano lavoro! Provo un'immensa pena, ma è così brutto trarre vantaggio dal proprio talento?

E' così sbagliato non concedersi gratis come fanno le altre maschere ricche e vanitose?
Mi allontano a disagio.

Ecco la classica maschera: una gonna nera gonfia, un corpetto elegante ricco di ricami dorati, un'acconciatura regale. Ma il viso, volutamente scoperto rivela una bellezza passata, involgarita dal trucco che, anziché nascondere, rivela i segni del tempo. Poi la gonna viene alzata diventando una specie di aureola e scoprendo una sottogonna decorata di pizzi multicolori. La gente stupisce all'improvvisa trasformazione e gli occhi della donna hanno un lampo di gioia, forse la stessa provata in gioventù all'ammirazione per sua bellezza.

Certo quello d'oggi è un ben misero sentimento, ma in questa giornata ogni piacere ha la sua dignità.

Più avanti c'è un pulcinella che balla, no, il vestito è quello, ma la maschera è un'altra, caratterizzata da un enorme sorriso, un sorriso inquietante perché gli occhi sono tristi! Pulcinella salta di qua e di là, fa una carezza a un bambino, s'inchina esageratamente e galantemente ad una dama, si alza e saltella di nuovo. Ora accetta di farsi fotografare con due giovani donne, le ringrazia con un baciamano e saltella verso altri gruppi.

Mentre mi volta le spalle, dalla nuca, unica parte scoperta, mi accorgo che si tratta di un uomo che ha già superato i cinquant'anni. Chissà quale spirito lo fa diventare tanto leggero, quale lavoro quotidiano, pesante e monotono, gli avrà dato una simile carica.

Ci avviamo verso il Palazzo Ducale ammirando le maschere che raccolgono capannelli di gente intorno a sé. Ci sono tre dame del settecento molto ammirate, non solo per il vestito, ma anche per la bellezza, si assomigliano molto, forse sono sorelle.

Ci sono marziani dai vestiti argentati, demoni sulfurei, uomini primitivi. Un cinese si distingue su tutti per le dimensioni enormi: ha sulle spalle una specie di ventaglio rigido, sormontato da una maschera da samurai, si muove lentamente, con sussiego, guardando dall'alto i suoi ammiratori.

Ora capisco meglio il senso di queste esibizioni: si mascherano per farsi vedere, tanto più il corpo è coperto e più il loro ingenuo esibizionismo diventa evidente.

In fondo quelli che si nascondono, che celano i loro sentimenti, sono gli spettatori: quelli come me.

Togliti il viso, che si veda la maschera che sta sotto. (M. Beerbohm)

Proseguiamo verso Riva degli Schiavoni, vediamo altri crocchi di gente, ci avviciniamo: alcune maschere si sono messe sui moli delle gondole per avere sullo sfondo il magnifico panorama del Canal Grande; peccato aver dimenticato la macchina fotografica!

Ma non è una gran perdita: avrei potuto fotografare le dimensioni del nobile cinese, forse la tristezza della ragazza in vaporetto, ma non il profumo della signora inglese.

Ora gli altoparlanti annunciano l'inizio dello spettacolo: in fondo a piazza S. Marco, sul palco appositamente preparato ci sarà la cerimonia di premiazione.

Torniamo sui nostri passi, man mano che ci avviciniamo al palco la folla diventa sempre più fitta, finché dobbiamo fermarci.
Ora, da lontano, negli spazi fra le teste di spettatori più fortunati, possiamo ammirare ciò che prima potevamo vedere da vicino.

La cerimonia comincia con una canzone intitolata il carnevale di Venezia e interpretata da un tenore veneto. Lo speaker ne tesse le lodi: la voce è forte, stentorea, la melodia scontata, le parole banali.
Gli autori, gli organizzatori hanno tentato di appropriarsi del sentimento spontaneo di trasgressione della gente per racchiuderlo in una vuota forma e trarne fama, guadagno, notorietà.

Vorrei fare uno sberleffo, ma rimango immobile silenzioso ad ascoltare. Cerco di ricordare, senza riuscirci, un'altra melodia, quella autentica, che, con la sua magia, ha eccitato la fantasia della gente e, gradualmente, ha prodotto questo strano fenomeno che chiamiamo carnevale di Venezia.

Intanto le maschere hanno cominciato a sfilare sul palco, vedo poco o niente, ma fortunatamente il presentatore mi dice che cosa debba considerare bello e cosa più bello ancora!

La cerimonia finisce con la sfilata in mezzo alla piazza. La folla si apre proprio vicino a me, mi trovo in prima fila posso scoprire o attribuire, ancora una volta, sentimenti meno scontati alle persone che si celano dietro alle maschere: ecco il narcisismo della signora pavone, la triste allegria del pulcinella, la prosopopea dell'enorme cinese.

Mi sfila davanti un'umanità frustrata che, in virtù dell'anonimato, può finalmente esprimersi.

Molti di loro si rivolgono alla folla con pose, inchini, carezze, in un linguaggio muto, ma eloquente, cercando con i gesti, di giustificare il vestito che portano, senza rendersi conto che sono nudi, come il famoso imperatore di Andersen.

Ormai la giornata è finita e torniamo a casa, facciamo a piedi il percorso fino alla ferrovia, ora c'è meno gente, la follia esibizionistica ha lasciato il posto alla stanchezza, i movimenti sono più naturali, più quotidiani, un uomo mangia un dolcetto appena acquistato, un altro abbassa la testa e si chiude nel mantello per sentire meno freddo; sul sagrato di una chiesa, un gruppo di giovani esegue una pantomima il cui significato è noto soltanto a loro.
Due delle tre dame del settecento (le tre sorelle) sono entrate in una pasticceria, la terza, forse la più bella, è rimasta fuori e accetta volentieri di farsi fotografare da un giovane passante.

I gesti sono quelli di prima, ma è tutto più semplice, più famigliare. La mia mente divaga: il giovane cinge con un braccio la vita della dama, lei appoggia dolcemente la testa sulla spalla di lui e si lascia guidare tra le calli mentre il suo ricco vestito si trasforma in un semplice abito moderno e insieme diventano una delle tante coppie in cerca d'intimità.

Ma la realtà è diversa: il giovane ringrazia, la dama sorride e io, appropriandomi di quel sorriso, ne traggo un sottile piacere.

Siamo quasi arrivati alla stazione, sull'ultimo ponte un folto gruppo di ragazzi ci viene incontro. Sono freschi, allegri, e si avviano verso il centro della città; è evidente che si preparano a festeggiare il Carnevale, attori e spettatori di una rappresentazione senza sceneggiatura, scritta e interpretata unicamente dalla loro gioia di vivere.

Padova 2002-05-08

Gianfranco Novo



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